Il contratto che si conclude tra l'ente ospedaliero ed il paziente viene definito contratto di “spedalità” o di “assistenza sanitaria”.
Si tratta di contratto atipico, a prestazioni corrispettive, e con effetti protettivi nei confronti del terzo in cui, a fronte del pagamento del prezzo (che può anche essere adempiuto dal servizio sanitario nazionale) insorgono a carico della struttura sanitaria specifici obblighi tra cui, accanto a quelli di tipo latu sensu
alberghiero, sussistono obblighi di messa a disposizione del personale (medico, paramedico ed ausiliario), nonché dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie anche in vista di eventuali complicazioni (cfr. sostanzialmente in tal senso Cass. SS.UU. 1.7.2002, n. 9556) e si riconosce, in capo alla struttura, l’obbligazione più tipica del servizio medico assistenziale, dalla diagnosi alla cura (cfr. Cass. civ. 3 febbraio 2012 n.1620).
Per giurisprudenza ormai pacifica l'accettazione del paziente nell'ospedale (privato o pubblico che sia) ai fini del ricovero, comporta la conclusione di un “contratto d'opera intellettuale”, tra il paziente e l'ente ospedaliero, il quale assume a proprio carico l'obbligazione di svolgere le prestazioni sanitarie, ovvero l'attività diagnostica e la conseguente attività terapeutica, in relazione alla situazione patologica del paziente preso in cura.
Ne consegue che la responsabilità dell’ente ospedaliero per i danni causati al paziente ha natura “contrattuale”, sia in relazione ai propri inadempimenti, ai sensi dell’art. 1218 c.c., sia in relazione al comportamento colposo o doloso dei sanitari di cui si avvale, ai sensi dell’art. 1228 c.c. secondo cui “ … il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro ...”, ancorché non siano alle sue dipendenze (Cass. civ. n. 8826/07; Cass. civ. 103/99) dovendosi qualificare quali sostituti e/o ausiliari necessari, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costoro effettuata e l’organizzazione aziendale (in tal senso, Cass. 3 febbraio 2012 n.1620; Cass. 14 giungo 2007 n. 1353).
Ciò che rileva, ai fini considerati, è la circostanza che dell’opera del terzo, il debitore originario, comunque, si avvale nell’attuazione del rapporto obbligatorio, essendo irrilevante la natura del rapporto sussistente tra ausiliario terzo (medico) e debitore originario (struttura sanitaria pubblica e/o privata).
In altre parole, la responsabilità che dall’esplicazione dell’attività del terzo consegue, a carico della struttura sanitaria, deriva dal principio per cui, chi trae vantaggio da una situazione deve sopportarne anche i relativi oneri, come recita il noto brocardo, “cuius commoda eius et incommoda”.
Un ente organizzato per fornire prestazioni sanitarie, peraltro, non è assimilabile o riducibile ad una struttura alberghiera, né può limitarsi ad "affittare" la sala operatoria a chiunque ne faccia richiesta, come se si trattasse di una qualsiasi locazione di locali e beni strumentali.
L’ente ospedaliero, in sostanza, risponde di tutte le ingerenze dannose che al medico e/o altro ausiliario sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al terzo danneggiato e cioè dei danni che il dipendente od ausiliario può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il paziente nell’attuazione del rapporto con la struttura sanitaria.
Tale responsabilità trova fondamento non già nella colpa (nella scelta degli ausiliari o nella vigilanza), bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento della propria obbligazione (si vedano Cass. civ. n. 6756/01; Cass. civ. n. 5329/03).
Come sopra esposto, la responsabilità dell’ente ospedaliero (e/o dell’operatore sanitario, ove evocato in giudizio) si atteggia, ormai per “diritto vivente” come contrattuale di tipo professionale in quanto l’accettazione del degente nella struttura medica, ai fini del ricovero, dà, come detto, luogo alla conclusione di un contratto atipico, meritevole di tutela dall’ordinamento (cd. contratto di spedalità, secondo autorevole dottrina; per la natura contrattuale della responsabilità vedansi Cass. 21 dicembre 1978 n. 6141, 27 maggio 1993, n. 5939, 11 aprile 1995, n. 4152, 27 luglio 1998, n. 7336, 2 dicembre 1998 n. 12233, 22 gennaio 1999, n. 598, 1 settembre 1999, n. 9198, 11 marzo 2002, n. 3492, 14 luglio 2003, n. 11001, 21 luglio 2003, n. 11316, 4 marzo 2004 n. 4400, 28 maggio 2004 n. 10297, 2 febbraio 2005, n. 2042 nonché Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2008 n. 577).
La responsabilità contrattuale della struttura nei confronti del paziente può, dunque, derivare, a norma dell'art. 1218 c.c., sia dall'inadempimento di quelle obbligazioni che sono poste direttamente a carico dell'ente debitore, sia, a norma dell'art. 1228 c.c., dall'inadempimento della prestazione medico - professionale svolta direttamente dal sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore.
Risulta irrilevante stabilire se detta responsabilità sia conseguenza dell'applicazione dell'art. 1228 c.c., per cui il debitore della prestazione che si sia avvalso dell'opera di ausiliari risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi, ovvero del principio di immedesimazione organica, per cui l'operato del personale dipendente di qualsiasi ente pubblico o privato ed inserito nell'organizzazione del servizio determina la responsabilità diretta dell'ente medesimo, essendo attribuibile all'ente stesso l'attività del suo personale (cfr. Cass. Civ. n. 9269/1997 e Cass. Civ. n. 10719/2000).
Ciò che rileva, infatti, è che l'ente ospedaliero risponde direttamente della negligenza ed imperizia dei propri dipendenti e/o ausiliari di cui si avvalga, nell'ambito delle prestazioni sanitarie effettuate al paziente: in altri termini, l'ente ospedaliero è contrattualmente responsabile se il suo medico è almeno in colpa, applicandosi il corrispondente regime dell'onere probatorio.
Le principali ricadute dell’acclarata natura contrattuale della responsabilità medica si manifestano, indubbiamente, anche sotto il profilo della ripartizione dell'onere della prova tra le parti in causa.
Anche con riferimento all'onere probatorio, appare decisivo il già citato arresto delle Sezioni Unite n. 577/2008, avendo, con tale decisione, il supremo consesso della Corte di nomofilachia, in parte confermato ed in parte corretto il precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Coerentemente alla affermata e riconfermata natura della responsabilità, sono state ribadite le regole in materia fissate dalla nota sentenza, delle Sezioni Unite, n. 13533/2001.
Tale sentenza conferma, infatti, che il creditore deve provare unicamente la fonte legale o negoziale del suo diritto ed allegare l'inadempimento del debitore; il debitore convenuto, invece, deve dare la prova del fatto estintivo e/o costituito dall'avvenuto esatto adempimento.
Pertanto, avuto riguardo al profilo dell'onere della prova, il paziente che agisce in giudizio deve, anche quando deduce l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria, provare il contratto ed allegare l'inadempimento del sanitario, non anche la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità (da ultimo v. Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 21/6/2004, n. 11488).
A mente dell’orientamento in parola, in sostanza, chi agisce per l’inadempimento deve solo limitarsi ad allegarlo in giudizio, dovendo, invece, il convenuto dimostrare, positivamente e concretamente, di aver adempiuto in maniera esatta alla propria obbligazione.
A riprova di quanto esposto, si leggano i pronunciati della Suprema Corte che adattano alla materia della responsabilità della struttura sanitaria l’orientamento della Cass. s.u. 13533/2001:
“In base al principio di riferibilità o vicinanza della prova compete al medico, che è in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, provare l’incolpevolezza dell’inadempimento (ossia della impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore) e la diligenza dell’adempimento”(Cass. civ. sentenza 11488/2004);
Ed ancora, “In applicazione del principio di vicinanza della prova l’ente ospedaliero, che risponde contrattualmente dei fatti illeciti e dolosi dei propri dipendenti, ai sensi dell’art. 1228 c.c., è tenuto a fornire la prova dell’assenza di colpa nell’operato del medico, intesa questa non come ‘prova negativa’, bensì come dimostrazione del fatto che la prestazione è stata eseguita in maniera diligente in conformità delle regole dell’arte” (Cass. sent. 10297/2004).
Peraltro, con l’entrata in vigore della cosiddetta Legge Gelli-Bianco n. 24 del 8 marzo 2017, la ridetta impostazione ha trovato piena conferma anche sul piano normativo, come sancito dall'art. 7 della citata novella che così dispone: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose” e si chiude con il seguente capoverso “Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile”.