Prima di tutto è bene premettere che, secondo la definizione datane dal giudice delle leggi (Corte Cost. 23 dicembre 2008, n. 438) e condivisa dalla Suprema Corte di cassazione (Cass. 09/02/2010, n. 2847), il consenso informato, inteso quale “espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico”, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, nonchè negli artt. 13 e 32, secondo comma della Costituzione i quali stabiliscono rispettivamente che «la libertà personale è inviolabile» e che «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge».
La necessità del consenso informato del paziente nell'ambito dei trattamenti medici, già prevista da numerose norme internazionali[1], è oggi contemplata, nel nostro ordinamento, dall'art. 1 della legge n. 219 del 2017 (il quale tutela espressamente il diritto all'autodeterminazione della persona e regola le modalità di ricezione delle informazioni e di espressione, imponendone, peraltro, anche la forma scritta, e la sua adeguata documentazione)[2], ma già si desumeva, anche prima dell’entrata in vigore della ridetta normativa, dai citati precetti costituzionali, nonché da numerose norme di legge ordinaria[3].
L'obbligo del sanitario di acquisire il consenso informato del paziente costituisce, pertanto, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario stesso, atteso che, senza la preventiva acquisizione di tale consenso, l'intervento del medico - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità -, è sicuramente illecito, anche quando sia svolto nell'interesse del paziente (Cass. 16/10/2007, n. 21748).
Poiché l'obbligo informativo del medico si correla al diritto fondamentale del paziente all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario propostogli, la prestazione che ne forma oggetto costituisce una prestazione distinta da quella sanitaria, la quale è finalizzata alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute. Di conseguenza, la violazione dell'obbligo assume autonoma rilevanza ai fini della responsabilità risarcitoria del sanitario, in quanto, mentre l'inesatta esecuzione del trattamento medico-terapeutico determina la lesione del diritto alla salute (art. 32, primo comma, Cost.), l'inadempimento dell'obbligo di acquisizione del consenso informato determina la lesione del (diverso) diritto fondamentale all'autodeterminazione del paziente (Art. 32, secondo comma, Cost.) (Cass. 05/07/2017, n. 16503).
In altre parole, vengono in considerazione due differenti diritti fondamentali, entrambi costituzionalmente tutelati: la responsabilità per lesione del diritto alla salute, conseguente all'inesatta esecuzione della prestazione medico-terapeutica e che può configurarsi anche in presenza di consenso consapevole e la responsabilità per lesione del diritto all'autodeterminazione, conseguente alla violazione del dovere di informazione e che può configurarsi anche in assenza di danno alla salute, allorché l'intervento terapeutico abbia un esito assolutamente positivo (Cass. 12.06.2015, n. 12505).
Secondo un ormai consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 11950/2013) la violazione, da parte del medico, del dovere d'informare il paziente, può, peraltro, causare due diversi tipi di danni:
- un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
- nonché un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute e che possa aggiungersi ad esso (cfr. ex multis Cass. civ. 2854/2015; Cass. civ. 24220/2015; Cass. 24074/2017; Cass. 16503/2017).
Il paziente ha, infatti, diritto di conoscere, con la necessaria e ragionevole precisione, le conseguenze dell'intervento medico al quale debba sottoporsi, onde prepararsi ad affrontarle con la maggiore e migliore consapevolezza, atteso che “la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive” (Cass. n. 21748/2007; Cass. 23676/2008).
L'obbligo del sanitario ha per oggetto l'informazione in ordine alla natura dell'intervento, nonché in ordine alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili; circa le prevedibili conseguenze del trattamento prospettato e, in particolare, la possibilità del verificarsi, in conseguenza dell'esecuzione dello stesso (Cass. 13/04/2007, n. 8826; Cass. 30/07/2004, n. 14638), di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, onde porre quest'ultimo in condizione di consentire consapevolmente al trattamento medesimo (Cass. 14/03/2006, n. 5444), oppure rifiutarlo o differirlo.
Secondo la recentissima sentenza della Suprema Corte di cassazione n. 7248 del 2018, ad una corretta e compiuta informazione conseguono:
“a. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;
b. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
c. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;
d. il diritto di rifiutare l'intervento o la terapia - e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
e. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell'intervento, ove queste risultino, sul piano postoperatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell'omessa informazione”.
Secondo la Suprema Corte di cassazione "In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, nè rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell'informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone" (Cass. n. 2177/2016).
Sempre sul punto, "In tema di attività medico-chirurgica, il medico viene meno all'obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso " (Cass. 19212/2015).
Con sentenza del 16 febbraio 2018 del Tribunale di Milano si rilevava l’assoluta inidoneità del consenso prestato dal paziente a mezzo di “un modulo prestampato, compilato a mano nelle sole indicazioni del nominativo della paziente, della patologia, del tipo di intervento e del nominativo del medico che avrebbe dato le informazioni; riporta quindi una serie di indicazioni di genericità tale da poter valere per qualsiasi tipo di intervento. Il documento in esame non è idoneo per ritenere che la struttura sanitaria abbia assolto l'onere, su di essa incombente, di dimostrare di aver fornito alla paziente appropriate e complete informazioni rispetto all'intervento poi eseguito”.
Quando il consenso informato non viene idoneamente prestato, prosegue il Supremo Collegio, “Possono, pertanto, prospettarsi le seguenti situazioni:
1. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (sul punto, Cass. 901/2018);
3. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito - andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all'intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all'autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell'intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse”.
In altre parole, vengono in considerazione due differenti diritti fondamentali, entrambi costituzionalmente tutelati: la responsabilità per lesione del diritto alla salute, conseguente all'inesatta esecuzione della prestazione medico-terapeutica, e che può configurarsi anche in presenza di un eventuale consenso consapevole da un lato, e la responsabilità per lesione del diritto all'autodeterminazione, conseguente alla violazione del dovere di informazione, che può configurarsi anche in assenza di danno alla salute, dall’altro (Cass. 12/06/2015, n. 12505).
[1] Si vedano, l’art. 24 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176; art. 5 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, ratificata con legge 28 marzo 2001, n. 14; art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
[2] L’art. 1 della legge n. 219 del 2017 così recita “1. La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignita' e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario puo' essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. 2. E' promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilita' del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l'equipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo. 3. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonche' riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Puo' rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l'eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. 4. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti piu' consoni alle condizioni del paziente, e' documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilita', attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, e' inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. 5. Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. 6. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali. 7. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla. 8. Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura. 9. Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l'informazione necessaria ai pazienti e l'adeguata formazione del personale. 10. La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative. 11. E' fatta salva l'applicazione delle norme speciali che disciplinano l'acquisizione del consenso informato per determinati atti o trattamenti sanitari”.
[3] Si vedano l'art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (in tema di disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati), l'art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (in materia di procreazione medicalmente assistita) e l'art. 33 della legge n. 833 del 1978, che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.